Home Economia Lavoro, la Cgil: “Troppe poche donne lavorano in provincia di Grosseto”

Lavoro, la Cgil: “Troppe poche donne lavorano in provincia di Grosseto”

Monica Pagni: "A rimetterci anche l'economia nel suo complesso"

di Redazione
0 commento 34 views

Grosseto. Dopo il seminario con le delegate della Cgil dedicato al tema “Autonomia e indipendenza economica delle lavoratrici per liberarsi dalla ricattabilità”, la segretaria della Camera del lavoro di Grosseto, Monica Pagni, interviene per sottolineare alcuni concetti cari alla Cgil rispetto al ruolo delle donne nell’economia maremmana.

«Tutti quanti siamo consapevoli della difficoltà in cui questo territorio si trova sotto il profilo economico – dichiara Monica Pagni -. La Cgil lo denuncia oramai da anni, sottolineando quanto sui dati macroeconomici negativi della nostra provincia incida la debolezza strutturare del settore manifatturiero. Un dato di fatto messo in evidenza da tutti i principali indicatori economici: dal valore aggiunto al reddito pro capite.

Quella che tuttavia rimane sottotraccia è la correlazione fra l’arretratezza economica di questo pezzo di Toscana e la percentuale drammaticamente bassa delle donne che lavorano. Se complessivamente nel 2023 il tasso di occupazione in provincia di Grosseto (69,3%) è stato 1,7 punti percentuali al di sotto della media regionale, quello che salta agli occhi è come il tasso di occupazione femminile (61,4%) sia 16 punti percentuali più basso di quello maschile (77,3%). Ben 4 punti percentuali sotto la media dell’occupazione femminile in regione, che già rappresenta un risultato poco lusinghiero. Come si non bastasse, nei quattro anni trascorsi dalla pandemia di Covid a oggi, nel mondo del lavoro si è allargata ulteriormente la forbice fra uomini e donne. Una piaga che si declina anche rispetto al ruolo delle ragazze che, al pari dei loro coetanei maschi, una volta raggiunto un livello di istruzione medio alta, lasciano Grosseto per stabilirsi in altre aree d’Italia nelle quali ci sono più opportunità di lavoro e migliori livelli retributivi.

Se poi guardiamo alle aree economicamente più forti della Toscana, come controprova, emerge in maniera chiara la correlazione positiva con l’elevato tasso di occupazione femminile. Questa constatazione dovrebbe spingere tutti quanti i protagonisti della governance locale, sia del settore pubblico che di quello privato, a riflettere sul fatto che nella nostra realtà l’apporto del lavoro femminile darebbe un contributo sostanziale a recuperare rispetto ai gap economici e sociali che ci caratterizzano.

Bisogna però avere anche l’onestà di ammettere che il problema non si riduce all’incremento del tasso di occupazione, che pure è importante, ma dipende molto dalla qualità del lavoro che si crea. È infatti evidente che continuare a puntare sul cosiddetto “lavoro povero”, in modo particolare caratterizzata da contratti stagionali, a tempo determinato, in somministrazione e part time, non farà cambiare verso alla traiettoria dello sviluppo economico. Per cui una maggiore occupazione femminile di per sé non avrebbe un impatto significativo né per le donne, né per il sistema economico nel suo complesso, se questa non s’inquadra in uno sviluppo qualitativo. Come, d’altra parte, testimonia il fatto che in provincia di Grosseto solo il 12% dei contratti è a tempo pieno e indeterminato.

Tornando al ruolo delle donne nell’economia provinciale, che la situazione sia da allarme rosso lo testimoniano anche altri numeri estrapolati sia dal rapporto Inps che dall’Istat. Nonostante le donne residenti in provincia siano 6.000 più degli uomini, infatti, quelle italiane che nel 2023 hanno lavorato sono state 39.600 a fronte di 46.500 uomini, mentre quelle straniere sono state 4.237 a fronte di 7.695 uomini.

Parallelamente al diverso peso fra uomini e donne nella partecipazione al mondo del lavoro, poi, c’è un altro differenziale che grida vendetta e che incide anche sul piano sociale in termini di autonomia e indipendenza delle donne. Ovverosia la sperequazione dei livelli retributivi sulla base del genere, per cui mediamente, a parità di mansione, le poche donne che lavorano guadagnano mediamente il 20% in meno dei colleghi uomini. Con differenze che, a seconda dei mestieri e dei livelli di competenza, può arrivare anche a una forbice del 30%: da 45 a 60 euro in meno sulla retribuzione lorda settimanale. Una differenza di trattamento che c’è anche nel settore pubblico, per quanto naturalmente molto più attenuata.

Infine, mi preme sottolineare un ultimo aspetto. A dimostrazione del fatto che le donne danno un apporto determinante all’economia generale di un territorio, basta prendere in considerazione quello che avviene in alcuni ambiti lavorativi nei quali queste hanno un ruolo preminente, dalla scuola alla sanità. O nelle cosiddette professioni liberali, piuttosto che nei ruoli apicali caratterizzati da un livello di istruzione più alta, dove le donne sono più numerose rispetto ad altri livelli professionali intermedi e medio bassi.

Credo in definitiva sarebbe interesse di tutti contribuire a eliminare le discriminazioni e i diversi trattamenti economici basati sul gender gap. Ne avremmo da guadagnare tutti quanti come individui, ma soprattutto come collettività».

Lascia un commento

* Utilizzando questo form si acconsente al trattamento dati personali secondo norma vigente. Puoi consultare la nostra Privacy Policy a questo indirizzo

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Ti potrebbero interessare

My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: