“La sanità toscana annaspa”.
A dichiararlo, in un comunicato, sono Elisabetta Ripani, deputata grossetana di Coraggio Italia, e Sandro Marrini, esponente del medesimo partito e consigliere comunale a Follonica.
“I medici vanno in pensione, le graduatorie scorrono e pochi accettano di entrare in ospedale – continua la nota -. Chi resta è oberato da un maggior carico di lavoro aggravato dalla pandemia e da decenni di mancato rinnovo dei contratti e del turn over. La realtà ospedaliera è poco attrattiva e le motivazioni sono intuibili: stipendi, soddisfazione professionale, condizioni lavorative e una politica dei tagli che da un lato allontana gli operatori sanitari e dall’altro si rivela dannosa per gli utenti di quei servizi sempre più ridotti che mettono a rischio la sopravvivenza stessa di alcune strutture ospedaliere. In Toscana la retribuzione dei medici è tra le più basse del Paese e, ad eccezione di alcune regioni a statuto speciale, i medici ospedalieri italiani sono sottopagati rispetto al resto d’Europa. Motivo per cui molti scelgono il privato o l’estero per retribuzioni e carriere molto più appaganti. Occorre un adeguamento per bloccare la possibile fuga dal pubblico dei nostri professionisti”.
“Non se la passano meglio gli infermieri ospedalieri: personale cronicamente sotto organico, ferie arretrate di anni, riposi negati dopo i turni di notte, accumulo di orario oltre misura. Gli amministratori pensano di risolvere questo problema al tavolino – continuano Ripani e Marrini -. Un esempio pratico: per un reparto a bassa intensità assistenziale, quindi con pazienti facilmente gestibili, viene stimato un numero di 1 infermiere ogni 8-12 pazienti. In un reparto di chirurgia generale il numero ottimale sarebbe di 1 infermiere ogni 6 pazienti, in Italia siamo a 1 ogni 9,5. In Toscana cosa si fa quando mancano gli infermieri? Si abbassa il livello assistenziale del reparto. Così una Neurologia, con pazienti per lo più allettati, incapaci di alimentarsi da soli, passibili di gravi complicanze sistemiche, viene considerata un reparto a bassa assistenza con un rapporto 1:8. A farne le spese sono i pazienti ed il personale costretto ad arrancare“.
“Quando i nostri migliori professionisti lasceranno la sanità pubblica, i servizi saranno ridotti o di minor qualità, ed alcune strutture saranno ‘tagliate’ perché troppo costose, la sanità resterà appannaggio di chi potrà permettersi di pagare privatamente gli specialisti – termina il comunicato -. Occorre intervenire ed alzare la voce a tutti i livelli istituzionali, prima che il grido di allarme si traduca in una drammatica realtà, per gli operatori sanitari e per i cittadini“.