Dalla prima alla settima posizione, nel giro di appena un anno.
E’ quanto rivela il dossier presentato dal Sole 24 Ore a fine 2012. Dopo che per quattro anni consecutivi Grosseto si era classificata al primo posto nella graduatoria delle province toscane, nel settore “Affari e lavoro”, il capoluogo maremmano è scivolato adesso al settimo posto su dieci posizioni.
Il dossier misura dati statistici ed elabora una serie di classifiche sulla vivibilità delle province italiane in sei ambiti: tenore di vita, affari e lavoro, servizi, ambiente e salute, popolazione, ordine pubblico e tempo libero.
La classifica “Affari e lavoro”, nello specifico, è basata sui dati relativi all’export, alla propensione ad investire, allo spirito d’iniziativa, alle donne ed ai giovani occupati e ai prestiti non onorati: in una parola sola, al benessere economico. Tale dato evidenzia in prima battuta come le peculiarità del tessuto economico della provincia di Grosseto risultino, più della altre province, risentire di una crisi economica congiunturale diffusa su scala nazionale.
“La responsabilità – spiega il candidato alla Camera di “Fare per fermare il declino”, Gianluca Ferraro – va all’assenza di un tessuto industriale/manifatturiero importante, alla scarsa appetibilità internazionale dell’offerta turistica, al gap dovuto ad infrastrutture di collegamento arretrate. Sarebbe semplice lanciarsi in proclami elettorali di investimenti che potranno dare frutti solo nel medio/lungo periodo. A breve termine, però, la cura da intraprendere passa, anche a livello locale, da un’iniezione di reddito disponibile per famiglie e pmi”.
Ecco la ricetta di “Fare”: secondo Ferraro occorre ridurre l’ammontare del debito e della spesa pubblica di almeno 6 punti del Pil in 5 anni, la pressione fiscale di almeno 5 punti in 5 anni e diminuire gli squilibri occupazionali senza discriminazioni di età e sesso: solo così è possibile far ripartire i consumi nazionali interni, e di conseguenza l’economia grossetana.
“Ma non si tratta solo di rimettere in moto l’economia. – conclude l’esponente di “Fare” – Si tratta, soprattutto, di ricreare un’atmosfera generale di fiducia e di speranza, per cui milioni di italiani, oggi esclusi dal mercato, possano tornare a credere che valga la pena restare, crescere e fare figli in questo Paese”.