E’ stata recentemente discussa all’Università di Siena una tesi di laurea dal titolo “Identificazione molecolare di specie ittiche in prodotti agroalimentari lavorati”.
La tesi, prodotta nel Dipartimento di Scienze della vita, sotto la guida del Dr. Giacomo Spinsanti e del Prof. Francesco Frati, è frutto della collaborazione tra l’Università di Siena e I Pescatori di Orbetello, attraverso la società del gruppo “Orbetello pesca lagunare”.
La tesi
L’argomento della tesi riguarda lo sviluppo e l’applicazione di tecniche di biologia molecolare (basate sull’analisi del Dna) per l’identificazione delle specie ittiche presenti in alimenti lavorati.
Nel dettaglio, lo studio ha riguardato la messa a punto di un metodo di analisi per la certificazione dell’utilizzo esclusivo del muggine locale (Mugil cephalus) per la produzione di due delle specialità più apprezzate della tradizione gastronomica orbetellana: la bottarga di Orbetello, presidio Slow Food, e il filetto di cefalo affumicato.
L’obiettivo della collaborazione è quello di unire competenze universitarie, maturate nel campo della ricerca scientifica, alla produzione di specialità agroalimentari di qualità, al fine di certificare e valorizzare il prodotto stesso. Questo tipo d’interazione, infatti, permette di fornire ulteriori garanzie a tutela del consumatore finale, rendendo impossibile l’eventualità di una contraffazione o imitazione del prodotto tipico che, inevitabilmente, ne guadagna in termini di valore e credibilità
“La globalizzazione dei mercati ed i tentativi di imitazione dei prodotti tipici propri della cultura gastronomica italiana hanno aumentato sensibilmente, negli ultimi anni, i tentativi di frode in campo agroalimentare – spiega Giacomo Spinsanti -. La problematica è particolarmente preoccupante soprattutto nel caso di pesci importati nel nostro Paese già puliti e sfilettati o in quello di prodotti alimentari preparati, dove il processo di lavorazione stesso impedisce il riconoscimento della specie utilizzata in partenza”.
“L’evento che si verifica più frequentemente, in questo senso, è quello della falsificazione, ovvero della sostituzione di una specie più pregiata con una di minor valore – continua Spinsanti -. Può succedere, ad esempio, che un sugo di spigola possa essere prodotto utilizzando, anche solo parzialmente, una specie di pesce diversa da quella dichiarata per legge in etichetta e di valore nettamente inferiore, perpetrando un frode commerciale in modo da abbattere i costi di produzione.
Il Dna, ovvero la molecola comune a tutti gli organismi viventi che racchiude le informazioni genetiche di ogni individuo, in questo caso, può essere utilizzato come un’impronta digitale che permette, nel prodotto finito, di risalire con certezza assoluta alle materie prime utilizzate, certificando la presenza di una specie piuttosto che di un’altra. Gli sviluppi futuri prevedono di estendere questo tipo di analisi anche ad altri prodotti, come i sughi pronti o la crema di palamita, magari elaborando un codice QR da stampare in etichetta che possa fornire tutte le indicazioni necessarie”.
“Credo che il rilancio di un’economia, come quella toscana e maremmana, che ha nella tradizione agroalimentare uno dei propri punti di forza, debba passare anche attraverso operazioni di questo tipo, mirate alla certificazione della qualità – conclude Spinsanti -. Uno degli obiettivi che perseguiamo nel nostro lavoro è proprio quello di avvicinare l’Università all’impresa, cercando di trovare problematiche comuni che possano rendere più competitivi i prodotti tipici e creare, allo stesso tempo, nuove forme di occupazione”.