“Dispiace dire ‘Noi lo avevamo detto da tempo’, ma con l’entrata in vigore lo scorso 13 dicembre del Regolamento europeo sulla nuova etichettatura dei cibi che abolisce l’obbligo di indicare la sede dello stabilimento di produzione, è chiaro che Italian agricolture system (il modo di fare agricoltura in Italia) da noia all’Unione Europea. In nessun altro modo, infatti, sarebbe spiegabile come la normativa sancita nel Bel Paese con l’obiettivo di dare garanzie al consumatore, ora, in Europa sia solo facoltativa”.
A commentare la discutibile decisione dell’Unione Europea è Enrico Rabazzi, vicepresidente toscano e presidente della Cia di Grosseto.
“Pochi lo sanno, ma tutte le nostre battaglie per mettere in etichetta dove e chi fa ciò che noi portiamo in tavola – spiega Rabazzi – sono ora un optional e, dunque, siamo sicuri, saranno omessi da chi punta solo al profitto, a scapito della salute dei cittadini. Rimane solo l’obbligo di indicare il responsabile legale del marchio, che nulla però serve per identificare esattamente la fabbrica nella quale è stato elaborato il prodotto”.
“Un regalo fatto senza nemmeno tentare di mascherare il colpo inferto all’agricoltura italiana, alle multinazionali europee della distribuzione che non vogliono che i consumatori conoscano l’origine del prodotto perché alla correttezza e alla trasparenza preferiscono il denaro e la concorrenza. Uno schiaffo alla nostra filosofia agricola – continua il presidente di Cia Grosseto –, un duro colpo alle nostre filiere, un’umiliante affronto a chi ha lavorato con serietà e un vero inganno legalizzato per il consumatore. Una beffa dettata dalla volontà di omologare anziché valorizzare le peculiarità”.
“Forse – si chiede Rabazzi – perché pochi altri Paesi potrebbero competere con le tipicità e la qualità dell’agroalimentare made in Italy? Se aggiungiamo il fatto che è ancora lettera morta la nostra richiesta di evidenziare anche la zona di produzione del prodotto, l’amara conclusione è che questa grande casa europea non è poi così vicina al mondo dell’agricoltura italiana. Una consapevolezza che trova conferma, purtroppo, nel fatto che, malgrado il Ministro Martina abbia chiesto all’Europa di mantenere l’obbligo dello stabilimento in etichetta, ad oggi nulla è cambiato. Difficile in questo modo considerarci tutti cugini europei”.