Montemerano (Grosseto). “Dovremmo andare tutti a vivere nei borghi…”. Lo aveva detto negli anni del Covid Stefano Boeri, l’architetto diventato famoso per il grattacielo verde “bosco verticale”, che con i suoi alberi rompe il luccichio di acciaio e vetri del centro di Milano. Era l’ultimo step del mito della fuga dei cittadini nei piccoli paesi, in nome di autenticità, rapporto con la natura, tempi più umani, recupero di una memoria condivisa. Con l’aiuto naturalmente del wi-fi.
È avvenuto esattamente il contrario, tranne che in poche isole felici in territori con uno sviluppo economico e turistico già consolidati. In Italia è in atto un imponente abbandono, che coinvolge i borghi della dorsale appenninica e del Sud, per il 30 per cento del territorio nazionale e 13 milioni di abitanti. Perché mancano i servizi essenziali per poter parlare di comunità: i trasporti, la sanità di base, il bancomat e la posta. Sono i borghi-fantasma, dove gli abitanti si contano solo a decine. Nella provincia di Grosseto, Travale, frazione di Montieri, paese delle colline metallifere, ha 59 abitanti…
L’informazione su questo fenomeno è sempre stata pilotata da chi ha visto nel fenomeno un’occasione per il mercato, per uno sviluppo orientato solo al turismo e che spesso si è arenato per una mancanza di infrastrutture. Ha rotto questa informazione mainstream una giovane antropologa culturale, Anna Rizzo, che ha raccolto i risultati di una decennale ricerca in un libro appassionato e arrabbiato, “I paesi invisibili, Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia”, pubblicato da Il Saggiatore.
Parlerà del suo lavoro sabato 14 giugno alle 18, all’Accademia del libro – Biblioteca di storia dell’arte di Montemerano, in dialogo con l’imprenditrice agricola Giulia Detti e l’attivista Enrico Mele.
“Ogni estate mi trasferisco in un paese, per fare un monitoraggio sul campo, in presa diretta. La prima missione è stata con l’Università di Bologna, antropologi e archeologi insieme, per implementare la carta archeologica della Valle del Sagittario, in Abruzzo. È così che sono arrivata a Frattura, nel comune de L’Aquila. È stata una rivoluzione nella ricerca, perché la maggior parte degli operatori culturali che si occupano di aree interne e di paesini, soprattutto in ambienti ministeriali e pubblici, non conoscono nulla di questi contesti”.
Anna Rizzo in questi anni ha ascoltato i paesani (“i primi sociologi sono loro”), ha vissuto nelle loro case, ha seguito le dinamiche della fuga: se ne vanno i giovani che ne hanno la possibilità economica, rimangono le donne a sostituire il welfare per abitanti sempre più anziani e gli uomini al bar. “Restano gli invisibili, quelli che non se ne possono andare…”. Ma Anna Rizzo, oltre a raccontare la sua esperienza diretta, riflette su cosa può essere il futuro di questo inascoltato abbandono, in una nazione che già vive una denatalità irreversibile. E mette in discussione parole che sono entrate nel nostro linguaggio comune, quando parliamo di come rimediare ai danni.
“Esistono parole infestanti. La prima è Resilienza: in nome di una capacità di comprensione e adattamento, ci adattiamo appunto al peggio. Prossimità: non ho mai visto un desiderio ecumenico di vivere insieme; la parola evoca la parentela, e nei paesi sono tutti ‘litigati’. Nostalgia: è conservatrice e reazionaria, impedisce di crescere. Filantropia: la progettualità calata dall’alto si arena, anche i donatori non conoscono la realtà del paese e la maggior parte di questi progetti rimangono prototipi”.
Anna Rizzo racconta però anche la resistenza all’abbandono: i volontari spesso giovani che vengono da fuori, le iniziative private o di associazioni, sostenute da bandi pubblici a cui si dà caccia, e che si muovono su due fronti. Il lavoro agricolo improntato al bio e all’economia circolare, con la pratica dei Wwoof, collaboratori ripagati con l’accoglienza; i “neorurali”, chi sceglie di tornare o arrivare, aprendo attività di accoglienza; il turismo sostenibile e il turismo gastronomico… Ma quello che ha dato più risalto mediatico ai borghi, è l’attività culturale dei piccoli festival, musica, teatro, artisti di strada. “Non è una rivoluzione ma una rottura della tradizione – conclude Anna Rizzo –, i paesi non hanno discendenti”.
Foto di Claudio Mammuccari